Lettera agli Ebrei 5:1-14
Approfondimenti
sulle cose che riguardano Dio È possibile che con questa espressione Paolo abbia in mente due aspetti del servizio reso dal sommo sacerdote. Un primo aspetto è che tutti i sacerdoti di Israele, compreso il sommo sacerdote, rappresentavano il popolo davanti a Geova presentando le sue offerte e supplicando in suo favore; nel Giorno dell’Espiazione, però, solo il sommo sacerdote offriva questi sacrifici (Le 16:2, 17, 24). Un secondo aspetto è che i sacerdoti rappresentavano Geova davanti al popolo istruendolo riguardo a lui e alle sue leggi (Le 10:8-11; Mal 2:7; vedi anche Glossario, “sacerdote”).
doni e sacrifici per i peccati Sotto la Legge mosaica alcune offerte potevano essere presentate come doni a Geova per esprimere gratitudine o per ottenere il suo favore e la sua approvazione (Le 7:11, 12; De 16:17). Altre offerte consistevano in sacrifici che espiavano i peccati (Le 4:27, 28). Qui però il contesto suggerisce che Paolo usa l’espressione “doni e sacrifici” in senso lato per riferirsi a tutte le offerte presentate dal sommo sacerdote (Eb 5:3; confronta Le 9:7; 16:6); fa la stessa cosa anche in Eb 8:3 e 9:9.
È in grado di trattare con compassione quelli che sono nell’ignoranza e nell’errore Quando era in vigore la Legge mosaica, il sommo sacerdote doveva offrire sacrifici per i suoi stessi peccati (Eb 5:3). Questo gli ricordava che era imperfetto e soggetto alle debolezze umane. Essere consapevole della sua condizione peccaminosa probabilmente gli permetteva di “trattare con compassione [o “gentilezza”, “mitezza”]” coloro in favore dei quali offriva sacrifici. I peccatori a loro volta confessavano i peccati commessi, e in alcuni casi dovevano dare un risarcimento alla persona a cui avevano fatto un torto (Eso 22:1; Le 6:4, 5; Nu 5:7). Di loro viene detto “che sono nell’ignoranza e nell’errore [o “traviati”]” perché peccavano non con sfrontatezza ma a motivo di debolezze umane. (Confronta Le 5:17-19; Nu 15:27, 28.)
deve fare i conti con le proprie debolezze O “è soggetto alle proprie debolezze”. Il verbo greco qui reso “deve fare i conti con” letteralmente significa “essere circondato”. (Vedi anche Eb 12:1, dove è presente lo stesso verbo greco.) Si trova anche in At 28:20, dove Paolo dice: “Sono legato da questa catena”, o alla lettera “mi circonda questa catena”. Un sommo sacerdote umano, in quanto imperfetto e peccatore, “[doveva] fare i conti con le proprie debolezze” costantemente; era come se quelle debolezze lo circondassero, o avvolgessero, un po’ come fa un vestito. (Confronta Zac 3:3, 4.) Questo è il motivo per cui “[doveva] offrire sacrifici per i propri peccati” (Eb 5:3; Le 9:7; 16:6, 11). Nessun sommo sacerdote avrebbe mai potuto reggere il confronto con Cristo Gesù, il celeste Sommo Sacerdote, che è senza peccato (Eb 7:26-28).
chiamato da Dio, come accadde ad Aronne Forse alcuni cristiani ebrei si chiedevano com’era possibile che Gesù fosse un sommo sacerdote, dal momento che non era un discendente di Aronne. Ecco perché Paolo spiega che Aronne stesso aveva ottenuto il suo incarico non perché lo aveva ereditato ma perché aveva ricevuto la nomina da Dio. (Confronta Eso 28:1; Nu 3:10.) Anche Gesù era stato direttamente “chiamato da Dio”, ma nel suo caso si trattava di una nomina a sommo sacerdote valida per sempre (Eb 5:5, 6). Ai giorni di Paolo, i sommi sacerdoti ebrei, come Caiafa, di solito venivano nominati, e a volte destituiti, dai romani (At 4:6 e approfondimento). Quei sommi sacerdoti potevano essere dei discendenti di Aronne, ma nessuno di loro poteva legittimamente affermare di essere stato “chiamato da Dio”. (Confronta Eb 7:13-16.)
neanche il Cristo glorificò sé stesso facendosi sommo sacerdote Gesù fu glorificato da suo Padre, Geova, che lo nominò Sommo Sacerdote. Questo avvenne nel 29, quando Gesù fu battezzato e si presentò con umiltà per fare la volontà di suo Padre, il che includeva offrire la sua vita in sacrificio e servirlo in qualità di Sommo Sacerdote per sempre (Eb 5:6; 10:8, 9). In quell’occasione Geova espresse il suo amore e la sua approvazione per il Figlio e lo unse con spirito santo. Fu così che il Cristo fu glorificato. (Vedi approfondimento a Mr 1:11.) Venendo direttamente da Geova Dio, questa gloria era di gran lunga superiore a qualsiasi gloria che altri sommi sacerdoti cercarono per sé stessi oppure rivendicarono in quanto discendenti di Aronne. (Confronta Gv 8:54.)
“Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato” Per la seconda volta in questa lettera, Paolo cita Sl 2:7. (Vedi approfondimento a Eb 1:5.) Le parole citate da Paolo ebbero un primo adempimento in occasione del battesimo di Gesù, quando Geova disse di averlo generato, dimostrandosi così suo Padre. (Vedi approfondimento a Mt 3:17.) Ma Geova dimostrò di essere il Padre eterno di Gesù anche in un’altra occasione e in un senso speciale, ovvero quando lo risuscitò alla vita immortale in cielo (At 13:33, 34; vedi approfondimento a Ro 1:4).
in un altro passo Subito dopo queste parole, Paolo cita Sl 110:4. In questa lettera lo cita o vi allude diverse volte (Eb 6:20; 7:3, 11, 17, 21; 10:12 e approfondimento).
sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedec È la prima volta che questo personaggio viene menzionato nella lettera agli Ebrei. Melchisedec era sia un re che un sacerdote vissuto al tempo di Abraamo (Gen 14:18). Gesù non ereditò il sacerdozio da lui. Infatti il suo era un sacerdozio “alla maniera di Melchisedec”, ovvero simile al suo. A quanto pare fu Dio stesso a nominare Melchisedec re e sacerdote della città di Salem. E fu sempre Dio che nominò Gesù sia Re del suo Regno che Sommo Sacerdote. (Per ulteriori dettagli su Melchisedec, vedi approfondimenti a Eb 7:1.)
Cristo [...] offrì suppliche e richieste Qui Paolo può avere in mente in particolare le preghiere offerte da Gesù mentre soffriva nel giardino di Getsemani. Quando la sua integrità venne messa alla prova nel modo più estremo, Gesù pregò suo Padre ripetutamente e con fervore (Lu 22:41-45; vedi approfondimenti ad At 4:31; Flp 4:6).
con forti grida e lacrime Paolo indica che Gesù, il Sommo Sacerdote ideale, era un uomo dalla forte fede e dalla profonda sensibilità che con fiducia aprì il cuore al suo Dio e Padre. I Vangeli non menzionano specificamente che Gesù abbia pianto quando pregò intensamente nel giardino di Getsemani. Paolo però a quanto pare si riferisce proprio a quel momento e, sotto ispirazione, aggiunge questo dettaglio toccante (Lu 22:42-44; vedi anche approfondimenti a Mt 26:39; confronta 1Sa 1:10, 12-18; 2Re 20:1-5; Ne 1:2-4; Sl 39:12). L’espressione “forti grida” potrebbe riferirsi anche alle parole che Gesù pronunciò mentre stava per morire sul palo di tortura (Mt 27:46; vedi anche Sl 22:1, 24). Le Scritture menzionano altre due occasioni in cui Gesù pianse: una fu quando versò lacrime di dolore nei pressi della tomba del suo amico Lazzaro (vedi approfondimento a Gv 11:35); l’altra quando entrò a Gerusalemme in groppa a un puledro e pianse in maniera udibile pensando al terribile futuro che la attendeva. (Vedi approfondimento a Lu 19:41.)
fu ascoltato Com’era stato predetto, Geova ascoltò le fervide suppliche di Gesù e gli rispose favorevolmente (Isa 49:8; vedi approfondimento a 2Co 6:2). Dio dimostrò in diversi modi che ascoltò suo Figlio: mandò un angelo a rafforzarlo (Lu 22:43); successivamente, lo salvò dalla morte risuscitandolo; poi soddisfece l’umile richiesta che gli aveva rivolto con le parole: “Sia fatta non la mia volontà, ma la tua” (Lu 22:42). La volontà di Dio fu fatta veramente. Un aspetto della sua volontà fu che Gesù ricevesse un dono di gran lunga superiore a qualsiasi cosa avesse mai chiesto: l’immortalità (Gv 17:5; 1Tm 6:16).
timore di Dio Questa espressione descrive la profonda riverenza che Gesù ha per suo Padre e per le cose sacre. Il termine greco qui usato si riferisce al “rispetto devoto che si ha alla presenza di Dio”. Devozione e rispetto verso il Padre erano caratteristiche di Gesù. Tant’è vero che, a proposito del Messia, era stato profetizzato che “lo spirito [...] del timore di Geova” si sarebbe posato su di lui e che “la sua gioia [sarebbe stata] nel timore di Geova” (Isa 11:2, 3). Il termine originale compare anche in Eb 12:28. (Vedi approfondimento a Eb 11:7; confronta approfondimento a Col 3:22.)
imparò l’ubbidienza Gesù è sempre stato un Figlio di Dio ubbidiente, anche quando in cielo tra “i figli del vero Dio” alcuni si ribellarono (Gen 6:2). Prima di venire sulla terra Gesù fu umile e ubbidiente (Isa 50:5). Ma quando visse come essere umano, imparò per esperienza cosa vuol dire essere ubbidiente in situazioni difficili, situazioni che in cielo non si sarebbero mai presentate (Flp 2:8; Eb 10:9). La sua ubbidienza fu perciò messa alla prova e resa perfetta, così che, grazie a lui, Geova poté concedere la vita eterna all’umanità ubbidiente. (Vedi approfondimenti a Eb 5:9.)
dopo essere stato reso perfetto Il Figlio di Dio fu creato come essere spirituale perfetto; in seguito, durante la sua vita come essere umano sulla terra, “non commise alcun peccato” (1Pt 2:22). Tuttavia, dovette essere “reso perfetto” in un altro senso per poter svolgere un incarico speciale: doveva diventare perfettamente idoneo per servire in qualità di Sommo Sacerdote in favore dell’umanità. Quello che Paolo insegna qui è in armonia con il significato dei termini greci tradotti “rendere perfetto”, “perfetto” e “perfezione”, che tra le altre cose possono trasmettere l’idea di raggiungere un obiettivo e realizzare un proposito o il concetto di qualcosa che è reso completo. (Confronta approfondimento a 1Co 13:10.) Mantenendo l’integrità davanti a qualsiasi tipo di prova, persino la morte, Gesù, come essere umano, diventò perfettamente qualificato per servire in qualità di sommo sacerdote compassionevole (Eb 2:17; 4:15; 5:10; vedi approfondimento a Eb 2:10).
è diventato causa di salvezza eterna È Geova Dio la suprema e assoluta Fonte di “salvezza eterna” (Isa 45:17). Gesù però è il mezzo che il Padre usa per permettere agli esseri umani di essere salvati dal peccato e dalla morte, che hanno ereditato da Adamo. (Confronta Lu 1:68, 69 e approfondimento; 2:30.) Nel suo ruolo di Sommo Sacerdote, Gesù “è diventato causa di salvezza eterna” nel senso che aiuta gli uomini ubbidienti a ottenere tale salvezza. Gesù è anche chiamato “il principale Condottiero (Agente) della loro salvezza” (Eb 2:10 e approfondimento; vedi anche approfondimenti ad At 3:15; 1Tm 1:1).
sommo sacerdote alla maniera di Melchisedec Vedi approfondimento a Eb 5:6.
Abbiamo molte cose da dire riguardo a lui “Lui” si riferisce a Gesù nel suo ruolo di sommo sacerdote “alla maniera di Melchisedec”. Paolo ha iniziato a parlare di questo importante tema nel v. 6, ma qui interrompe la sua argomentazione per introdurre un’esortazione ad “[avanzare] verso la maturità” (Eb 6:1). Riprende il paragone tra Gesù e Melchisedec in Eb 6:20.
è difficile spiegarle Riguardo all’espressione originale, un lessico dice: “Come indica il contesto, [la difficoltà] è dovuta non all’argomento trattato ma a un problema degli ascoltatori”.
duri d’orecchio Il termine greco reso “duri” può descrivere persone lente ad apprendere, che non ascoltano, che sono indifferenti o perfino pigre. I cristiani ebrei erano diventati “duri d’orecchio” nel senso che non riuscivano o non erano disposti a comprendere nuovi o profondi insegnamenti scritturali e a metterli in pratica nella loro vita. In effetti avevano dimenticato verità che avevano già imparato (Eb 5:12; vedi approfondimento a Eb 5:14). Qualcuno di loro, forse “appesantito” dalle pressioni e dalle distrazioni della vita quotidiana, non aveva prestato la dovuta attenzione alle istruzioni spirituali (Lu 21:34-36; confronta Eb 2:1; vedi approfondimento a Eb 6:12). In pratica, i cristiani ebrei non si rendevano conto del fatto che la fede non può rimanere statica: o si rafforza o si indebolisce.
Ormai dovreste essere maestri Quando Paolo scrisse la lettera ai cristiani ebrei, erano passati quasi 30 anni dalla fondazione della congregazione di Gerusalemme. Quindi “ormai [lett. “a causa del tempo”]” quei cristiani avrebbero dovuto essere in grado di insegnare ad altri quello in cui credevano. Questo era un aspetto importante del ministero di ogni singolo cristiano. (Vedi approfondimento a Mt 28:20.) Alcuni, però, facevano fatica a capire e ad accettare verità più profonde, figuriamoci a insegnarle ad altri. (Vedi approfondimento a Eb 5:11.)
le basi In greco questa espressione in genere fa riferimento ai rudimenti, ai princìpi elementari, di qualcosa. Per esempio veniva usata per indicare le lettere dell’alfabeto greco. (Confronta approfondimento a Gal 4:3.) Qui “le basi” si riferiscono agli insegnamenti basilari o fondamentali “delle sacre dichiarazioni di Dio”; erano tra le prime cose che i cristiani ebrei dovevano imparare prima di poter passare a verità più profonde (Eb 6:1 e approfondimento). Stando a un commentario, l’espressione “[insegnare] da capo le basi delle sacre dichiarazioni di Dio” lascia intendere che quei cristiani dovevano “ripartire non dal capitolo uno, ma, per così dire, dall’abbiccì, quindi ancora prima del capitolo uno”.
sacre dichiarazioni di Dio Questa espressione fa riferimento alle Scritture Ebraiche e a quanto pare anche agli insegnamenti di Gesù Cristo e degli scrittori cristiani ispirati. (Vedi approfondimento a Ro 3:2.)
dovete ancora nutrirvi di latte Essendo l’alimento principale dei bambini piccoli, il latte rappresenta in modo appropriato le verità più basilari che i cristiani devono imparare. Paolo era preoccupato perché i cristiani ebrei non erano riusciti ad andare oltre quelle verità fondamentali. Anzi, erano tornati indietro; era come se fossero tornati a un’alimentazione a base di latte. Ecco perché Paolo li esorta a nutrirsi di “cibo solido”. (Vedi approfondimento a Eb 5:14.) In precedenza aveva dato un consiglio simile ai cristiani di Corinto. (Vedi approfondimento a 1Co 3:2.) In altri contesti, comunque, il latte può indicare tutte le verità che nutrono la fede dei cristiani e che ognuno di loro, che sia maturo o convertito da poco, ha bisogno di assimilare (1Pt 2:2).
non conosce la parola della giustizia In questa espressione Paolo sceglie un termine (qui reso “non conosce”) che spesso veniva usato a proposito di principianti o inesperti. A quanto pare i cristiani ebrei non capivano del tutto la parola di Dio perché non erano abituati a metterla in pratica nella vita quotidiana. Paolo si riferisce appropriatamente agli insegnamenti ispirati definendoli “la parola della giustizia” perché i messaggi che Dio trasmette agli esseri umani spiegano cosa è giusto ai suoi occhi e cosa non lo è. (Vedi approfondimenti a 2Co 5:19; 9:9.)
è bambino Di per sé questa espressione non lascia intendere che essere come bambini sia sempre una cosa negativa. (Vedi approfondimento a 1Co 14:20.) Comunque, in questo contesto l’esempio del bambino è collegato al fatto che i cristiani ebrei continuavano ad avere metaforicamente bisogno di latte. Paolo usa questo esempio per mettere in risalto che quei cristiani non erano cresciuti, non erano diventati maturi.
cibo solido Qui Paolo fa riferimento a verità più profonde e sostanziose, e le mette in contrapposizione con il “latte”, che invece rappresenta verità basilari facilmente comprensibili dai nuovi. (Vedi approfondimenti a 1Co 3:2; Eb 5:12.) Ad esempio, in questa lettera Paolo provvede tanto “cibo solido”: approfondisce il ruolo di Gesù quale “sommo sacerdote alla maniera di Melchisedec”, la superiorità del sacerdozio di Cristo rispetto a quello dei sacerdoti levitici e altri temi profondi (Eb 5:6, 10, 11; 6:20; 7:11, 15-17).
persone mature O “persone fatte (adulte)”. (Vedi approfondimenti a Ef 4:13; Eb 6:1; confronta 1Co 2:6 e nt.)
hanno allenato Qui Paolo usa una metafora che si rifà al mondo dell’atletica. Il termine greco (gymnàzo) alla lettera significa “esercitarsi (come un atleta)”. (Vedi approfondimento a 1Tm 4:7.) Proprio come gli atleti si sottoponevano a un rigido allenamento, i cristiani ebrei dovevano continuare a esercitarsi con impegno per affinare e utilizzare la loro “facoltà di giudizio”. Avevano bisogno di studiare i princìpi contenuti nelle Scritture ispirate (2Tm 3:16, 17). E poi dovevano mettere in pratica ciò che avevano acquisito; in questo modo potevano allenare la loro facoltà di giudizio con l’uso e diventare “persone mature”.
facoltà di giudizio O “facoltà percettive”. Il termine greco originale veniva a volte usato letteralmente per riferirsi agli organi di senso, come vista, udito o gusto. Qui però fa riferimento alla capacità che un cristiano maturo ha di utilizzare la propria mente per valutare, discernere, o capire, come prendere decisioni sagge in questioni morali e spirituali. (Vedi l’approfondimento a Flp 1:9, dove un termine greco affine è reso “pieno discernimento”.)
distinguere il bene dal male Fin qui Paolo ha fatto capire ai cristiani ebrei che avevano bisogno di impegnarsi per raggiungere la maturità (Eb 5:11-13). Se avessero allenato adeguatamente la loro “facoltà di giudizio”, sarebbero riusciti a non farsi ingannare dalle apparenze e a prendere decisioni in armonia con le norme di Dio. Una volta diventati cristiani maturi, sarebbero stati in grado di distinguere meglio i comportamenti giusti da quelli sbagliati e gli insegnamenti veri da quelli falsi (Ro 16:19; 1Co 14:20).